L’Istituto D’Arte Manuppella di Isernia ha sfornato artisti di fama mondiale
Il segreto del successo di un’azienda creativa nella regione che non esiste.
di Pietro Tonti
Come non rimanere colpiti dal Maestro Antonio Zaccarella, capace di modificare la materia e renderla capolavoro. La magia dell’opera scultorea consiste nel dare vita a materiali apparentemente morti come pietra, marmo, granito, gesso, argilla. E’ proprio nell’argilla che Zaccarella trova la sua dimensione del bello assoluto e diventa conosciuto e apprezzato in tutto il mondo. Le domande che sorgono spontanee sono le seguenti: Come un artista diventa grande e si afferma nel panorama internazionale? Quali le dinamiche esistenziali, il background che concorrono, come il caso di Zaccarella a realizzare il successo?
Per scoprirlo abbiamo visitato il suo laboratorio, dove lavorano cinque dipendenti oltre a tre soci lavoratori, tra cui i suoi due figli. Accolti nel suo studio di Montaquila sulla S.S. 156 Napoli – Roccaraso davanti ad un buon the verde giapponese, di quelli che si trovano solo nella terra del sol levante, a cui il nostro scultore è molto affezionato.  E’ straordinario avere a che fare con personaggi del calibro di Antonio Zaccarella, molisano Doc di Montaquila dove è nato nel 1951, c’è sempre da imparare e lui si presta con nonchalance a pillole di saggezza. Sicuramente i suoi viaggi in oriente hanno caratterizzato il suo know-how: un uomo destinato senza temi di smentita ai libri di storia.

Ed eccoci Antonio, parlaci di te e della tua esistenza, ma brevemente, so bene che potresti stare delle ore a raccontarci dei tuoi viaggi, della tua meravigliosa esperienza di vita, ma non abbiamo pagine che possano contenere il tuo scibile, credo che su di te bisognerebbe scrivere un libro.
Non esagerare. Che dire, mi diplomai all’Istituto D’Arte Manuppella di Isernia nel 1970 e subito chiesi di andare in Australia, con quello spirito d’avventura che ancora oggi dimora in me. In quel periodo l’Australia era una nazione vergine in via di sviluppo, una sorta di eldorado; collocata agli antipodi dell’Italia, suscitava in me un’attrazione particolare. Partii con un progetto pagato dell’ambasciata australiana. Mi imbarcai sulla Guglielmo Marconi, dopo 32 meravigliosi giorni di viaggio, dopo aver vinto anche una gara di ballo con una ragazza francese, approdai nel nuovo continente. Non avevo fatto il militare e c’era un accordo interministeriale con l’Australia per cui avrei dovuto svolgere il servizio militare nel paese ospitante, con il rischio di ritrovarmi in Vietnam, sai l’Australia colonia Inglese, si parlava di un supporto al contingente americano. Stetti lì sei mesi a lavorare, una bella esperienza e feci ritorno in Italia, proprio per la concreta possibilità di finire in Vietnam. Feci il militare in Italia.  Subito dopo morì mio padre e mi ritrovai con mia madre invalida al 100% e primo di 4 fratelli ad assorbire un duro colpo. Il notaio la sera che fece la voltura delle sette licenze commerciali di mio padre, mi ritrovai intestatario di tutto. Come primo maschio della casa, le tre sorelle più grandi erano sposate e andate via, mi caricai di notevoli responsabilità. Per otto anni ancora rimasi a casa, fino a quando non riuscii a sistemare tutto. A trent’anni iniziai a fare il ceramista.  

Turbolenze dell’esistenza che caratterizzano personaggi estremamente brillanti, ma poi come ti sei ritrovato ad emergere in questo settore?
Dopo un anno e mezzo di esperienza iniziai a creare ceramiche mie, partecipando a mostre nazionali, tra cui una importante a Firenze. Quando frequentavo l’Istituto D’Arte ero bravo a realizzare creazioni in ceramica, ma nella realtà lavorativa di artista mi scontrai subito con un problema grave, quello dell’imitazione delle opere. E’ deprimente lavorare per un anno ad un’opera e poi vedersela imitare, copiare, per cui dovevo escogitare qualcosa che potesse rivelarsi unico, difficilmente riproducibile.
In questo contesto mi avvicinai ad una tecnica che negli anni 70 era ancora sperimentale in Europa il “Raku”, un’antica tecnica giapponese risalente al 1500. Gli americani la scoprirono negli anni 50 e in Europa arrivò a cavallo degli anni 60/70. Devo ringraziare il fato che mi fece conoscere un grande ceramista esperto in questa tecnica, tale Romeo Rolli, da cui, appreso i segreti di quest’arte, iniziai a produrre opere di nicchia inimitabili.
L’affermazione è arrivata subito?
Si la voglia di fare era tanta e ancora non mi abbandona. Dal Molise in Italia a diventare leader in questo segmento produttivo non fu molto difficile, le mie ceramiche furono immediatamente apprezzate nelle fiere di settore nazionali riscontrando successi notevoli. Dal 1986/87 iniziai a registrare una continua crescita ed affermazione. Prima a Firenze, poi a Milano, poi a Roma il test fondamentale, un negozio di materiali elettrici che iniziava ad avere prodotti di arredo, ceramiche particolari e orologi.  Le vendite risultarono talmente brillanti che il titolare decise di eliminare i prodotti elettrici e dedicare quasi tutta l’esposizione e vendita ai miei prodotti. Quella si rivelò la percezione netta, si poteva crescere, le mie ceramiche e i miei orologi d’arredo meritavano collocazioni ampie. Poi l’estero: Parigi, Francoforte, Milano; ed ancora New York, Orlando, Atlanta, dopo di che compresi che il mercato americano non faceva per la mia azienda. Tale mercato di grande consumo e produzione, non rientrava nella mia visione di azienda. Ero e sono per un prodotto di nicchia e di qualità.
Quale il fattore, l’episodio determinante che ti ha lanciato nel mercato internazionale e decretato il successo?
La svolta ad una Fiera a Milano nel 1992 quando, al termine di una giornata intensa prima della chiusura, due signori giapponesi chiesero alla mia interprete di accomodarsi sulle mie sedie nello stand. Senza esitazione li feci accomodare. Subito si rivelarono interessati ai miei prodotti, mentre la voce della speaker intimava di raggiungere l’uscita ai visitatori in quanto mancavano 5 minuti alla chiusura. I miei ospiti non capivano il messaggio, continuavano ad interessarsi alle creazioni, chiedendo alla mia collaboratrice spiegazioni. Intanto la speaker insisteva ad invitare i visitatori all’uscita per la chiusura e fui costretto ad intervenire mostrando ai giapponesi l’uscita lungo il corridoio. Ci salutammo e iniziarono ad allontanarsi. In qualche minuto di riflessione, mi vennero in mente le parole di mio padre: “tieni sempre aperte le finestre di casa quando passa la fortuna, se sono chiuse andrà via senza incidere sulla tua vita”.
In un momento ebbi un lampo, chiesi alla mia collaboratrice di correre e rintracciare i due giapponesi per invitarli nella mattinata dell’indomani allo stand. La ragazza senza esitazione si precipitò sulle tracce dei due, ma mi resi conto che era passato molto tempo, all’incirca un’ora e non faceva ritorno. All’improvviso la vedo arrivare allo stand trafelata ma soddisfatta. Era riuscita a raggiungere i due giapponesi oltre l’uscita e ad invitarli allo stand. Dall’indomani di quel giorno la mia vita cambiò, ancora oggi a distanza di oltre 20 anni loro sono i miei clienti giapponesi. Si trattava dei titolari di una importante azienda la “Ritmo Watch” consociata alla Citizen. La stragrande maggioranza della nostra produzione viene assorbita dal mercato giapponese e spesso mi reco in Giappone, dove sono accolto con tutti gli onori. Quel presidente della compagnia che mi fece visita in Italia tanti anni fa, nonostante sia anziano e dimorante in una casa di cura, almeno un giorno del mio soggiorno desidera che lo passi con lui: lo accontento sempre con vero piacere. 

Ultima domanda: qual è il segreto del successo?
C’è il segreto del successo. Vengo da una famiglia di commercianti, mio nonno era commerciante in Scozia, mio padre commerciante, hanno trasmesso a noi figli l’essenza del commercio; il sapere essere commerciati, soprattutto l’onestà e la chiarezza. In commercio non si può bleffare, sei commerciante o non lo sei.
Al tuo lavoro, estremamente creativo e artistico come si inseriscono queste affermazioni?
Ti spiego, quando a Firenze iniziai a portare le mie ceramiche e mi copiavano spudoratamente, feci una riflessione commerciale, innescando un meccanismo di autodifesa: inserire una tecnica complessa ad un prodotto di nicchia che doveva avere un prezzo accettabile per poter sfondare il mercato, dove di mio avrei inserito la creatività. Si tratta di quattro elementi di fondamentale importanza che hanno fatto e continuano a fare la differenza. Senza la mia esperienza commerciale ereditata, sarei stato soccombente rispetto alle aggressioni del mercato.
Grande Antonio Zaccarella sia come creativo che come imprenditore: ad maiora!
Articolo già pubblicato su: Il Regionale Molise settimanale